IL COMODATO D’USO GRATUITO DI UN IMMOBILE E LA SUA COLLAZIONE IN SEDE DI SUCCESSIONE
Quando i genitori concedono un’abitazione in uso gratuito ad uno dei figli, al momento della successione il beneficiario è tenuto a computare nella propria quota il valore dei canoni “risparmiati”?
I rapporti familiari sono spesso regolati dall’affetto prima che dalla legge e, pertanto, anche la gestione economica della famiglia è frutto di scelte non sempre ponderate, che non tengono conto delle possibili conseguenze. Accade frequentemente che i genitori proprietari di un’immobile lo mettano a disposizione in comodato gratuito del figlio che si sposa o che intende vivere da solo. Tuttavia, quando poi i genitori vengono a mancare, in sede di successione i coeredi (ad esempio i fratelli del beneficiario) pretendono non di rado di calcolare nella quota di eredità spettante al fratello il valore del beneficio ricevuto, calcolando un ipotetico canone di locazione che questi ha risparmiato grazie alla generosità dei genitori.
La questione, assai frequente, va esaminata attraverso la normativa del codice civile che ci consente di escludere l’obbligo di collazione, ossia di conferire ai coeredi quanto ricevuto dal defunto per donazione direttamente o indirettamente, salvo che il defunto abbia espressamente dispensato da tale onere.
Il comodato è il contratto mediante il quale una parte (comodante) consegna all’altra (comodatario) una cosa mobile o immobile, affinché se ne serva per un tempo od un uso determinato, con l’obbligo di restituire la stessa cosa ricevuta (art. 1803 del codice civile).
Di regola il comodato è gratuito; ovviamente colui che riceve gratuitamente la cosa assume alcuni obblighi, in primis quello di custodirla e conservarla con la diligenza del buon padre di famiglia (articoli 1176 e 1177 del codice civile) e non può concedere ad un terzo il godimento del bene senza il consenso del comodante.
Qualora il comodatario non adempia gli obblighi suddetti, il comodante può chiedere l’immediata restituzione del bene, sia esso mobile od immobile, oltre al risarcimento dell’eventuale danno (art. 1804 c.c.), che andrà dimostrato in conformità agli ordinari criteri.
Per quanto possa sembrare una modalità molto semplice per gestire determinati rapporti che si basano sulla fiducia e cortesia, in realtà costituisce una scelta contrattuale che può dar luogo a diversi problemi interpretativi fra i quali quelli che si presentano in sede di successione.
La collazione, quale sopra richiamata, è un istituto relativo alla divisione ereditaria ed ha lo scopo di individuare esattamente la massa da dividere, facendovi rientrare anche i beni che vi sono usciti per effetto di donazioni fatte in vita dal defunto. I soggetti tenuti alla collazione sono i figli, i loro discendenti e il coniuge (art. 737 c.c.).
Invero le donazioni effettuate in vita dal deceduto possono incidere significativamente sia sul complesso dei beni lasciati dal defunto, sia, di conseguenza, sull’entità delle porzioni di beni spettanti a ciascuno degli eredi. Attraverso l’istituto della collazione, la legge intende pertanto ripristinare a favore dei parenti più stretti l’uguaglianza di trattamento nella ripartizione del patrimonio ereditario.
Nel caso in esame, qualora un figlio abbia goduto gratuitamente di un immobile concessogli dai genitori senza corrispondere alcun canone, i legittimari possono pretendere la collazione del denaro corrispondente ai canoni non pagati?
La soluzione dipende dalla qualificazione giuridica che si voglia attribuire alla concessione di uso gratuito dell’immobile, mutando le conseguenze a seconda che il comodato gratuito possa configurare o meno una donazione indiretta; solo in quest’ultimo caso, il comodatario sarà tenuto alla collazione.
La questione, dibattuta nel tempo, è stata affrontata dalla Corte di Cassazione che ha enunciato il principio per cui: “non è qualificabile come donazione soggetta a collazione il godimento, a titolo gratuito, di un immobile concesso durante la vita del defunto a uno degli eredi, atteso che l’arricchimento procurato dalla donazione non può essere identificato con il vantaggio che il comodatario trae dall’uso personale e gratuito della cosa comodata, in quanto detta utilità non costituisce il risultato finale dell’atto posto in essere dalle parti, come invece avviene in donazione, bensì il contenuto tipico del comodato stesso” (Cass. Civ., Sez. II, 23.11.2006, n. 24866).
A detta della Corte quindi non è possibile esperire un’azione di collazione che abbia ad oggetto gli eventuali canoni non pagati di un immobile concesso in godimento gratuito.
La Corte di Cassazione ha chiarito altresì che il bene concesso in comodato dal futuro de cuius ad un erede non è qualificabile come donazione, purché l’utilità per il comodatario consista in un uso personale, gratuito e temporaneo della cosa (Cass. Civ., Sez. II, 16.11.2017, n. 27259).
Ma nonostante la Corte abbia chiarito che non siamo di fronte ad una donazione e quindi non suscettibile di collazione da parte dei chiamati all’eredità, parte della dottrina sostiene invece che la concessione fatta dal de cuius possa invece considerarsi una donazione indiretta sottoposta a collazione.
Ricordiamo che la donazione è un contratto col quale una parte, per spirito di liberalità, arricchisce l’altra disponendo a favore di questa un suo diritto o assumendo verso la medesima un’obbligazione (art. 769 c.c.). Caratteri essenziali della donazione sono, pertanto, lo spirito di liberalità (“animus donandi”) da una parte e l’arricchimento del patrimonio del donatario dall’altra.
Il comodato, invece, come abbiamo visto è un contratto tipico con caratteristiche diverse (vedasi la temporaneità citata dalla Suprema Corte) e potrebbe assimilarsi alla donazione soltanto qualora si potesse individuare con certezza l’ “animus donandi” del comodante al momento della disposizione stessa.
Elemento costitutivo, peraltro, estremamente difficile da individuare e la cui prova dev’essere data dagli eredi che agiscono contro il comodatario.
In conclusione, nel caso in esame possiamo ritenere che qualora uno degli eredi che abbia goduto di un immobile paterno sia chiamato a computare nell’asse ereditario il valore corrispondente ad un ipotetico canone di locazione dell’immobile goduto, potrà difendersi sostenendo che non sussisteva quello spirito di liberalità necessario per prospettare una donazione, con conseguente esonero dall’obbligo di collazione.